Le “leggi” grafiche in grafologia peritale

Nell’analisi e comparazione di scritture, altresì nota come grafologia peritale, è prassi citare e affidarsi a leggi, teorie, principi generali [1]. Si tratta generalmente di affermazioni che descrivono come “funziona” la manoscrittura. Un esempio:

Non si può modificare volontariamente la propria scrittura naturale se non accusando i segni dello sforzo compiuto per ottenere il cambiamento (3a legge di Solange-Pellat)

Le cosiddette leggi grafiche riempiono i libri di grafologia peritale italiana. Dal momento che spesso le argomentazioni in perizia sono supportate da queste leggi, è interessante interrogarsi sulla loro natura. Principalmente, gli scenari che si presentano sono 2:

1) Leggi derivanti da ricerche realmente svolte. Ovvero l’unico modo da cui dovrebbe derivare conoscenza, cioè attraverso la sperimentazione. La domanda però in questo caso è: a quando risalgono queste ricerche? Saudek, Freeman, Binet, etc, erano studiosi serissimi che però potrebbero scontare qualche limite dovuto all’epoca, se non altro per gli strumenti che usavano. Mi lascia sempre qualche dubbio leggere che

Non si possono tracciare dei risvolti angolosi senza arrestare la penna per un attimo, generalmente non meno di 2/25 di sec (Freeman, 1922)

Quel 2/25 fa simpatia, cristallizzato in una precisione tale che nessuno oserebbe dubitarne. Dopo 100 anni sarebbe auspicabile citare altri studi (tra l’altro la misura è in venticinquesimi per via del sistema di rilevazione, qualcuno intuisce quale?).

2) Principi derivati “logicamente”. Affondano le loro radici su una complessa relazione tra fisica scritturale e significato grafologico (=legato alla personalità) della scrittura. Frutto, in estrema sintesi, di una speculazione intellettuale e non di sperimentazione. Esempio? Se consideriamo la pressione come “espressione dell’energia vitale” (qualsiasi cosa voglia dire, ma i grafologi mi capiranno) e la velocità di una scrittura come il grado di reattività, appare sensato pensare che l’aumento della velocità abbia una conseguenza sulla pressione, facendola in qualche modo diminuire o distribuendola nella progressione dei tratti. Si può supporre infatti che una persona possa esprimere molta energia nello svolgimento di una attività, ma se di attività ne ha molte e che si susseguono una dopo l’altra, è lecito pensare che non possa mettere in tutte lo stesso grado di energia [2]. Grafologicamente questi discorsi filano e creano un senso di coerenza interna tra il sistema di segni ed il loro significato psicologico. Il problema è quando dalla dimensione grafo/psicologica si desumono a ritroso regole di motricità. Affermare che un aumento di velocità della scrittura deve comportare un alleggerimento della pressione sul foglio è una di queste “leggi”. Smentite dall’approccio sperimentale.

In altri contesti non hanno di questi problemi: si assume come valido solo ciò che è in letteratura (vera). Ma non hanno la ricchezza di tradizione e di immagini che abbiamo noi. Impegnativo, ma l’unico modo per onorare la tradizione è quello di incominciare a setacciare.

 

 

[1] Leggi, principi, teorie, assunti… sono tutte cose diverse. Termini normalmente usati con disinvoltura come sinonimi nei testi di grafologia.

[2] Siamo in piena “metafora idraulica” della personalità, cosa in cui già Freud era incappato, spiegato per esempio in Daugman, J. G. (2001). Brain metaphor and brain theory.

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