L’idea che il modello calligrafico di una nazione ne rifletta in qualche modo il carattere non è nuova. La diversità temperamentale dei diversi popoli si trasmetterebbe anche nei modelli gestuali che essi adottano, poichè più consoni a trasmettere alcune caratteristiche piuttosto che altre.
Nicole Boille, passando in rassegna alcuni stili calligrafici europei ha evidenziato che “le abitudini socio-culturali contribuiscono alla formazione di uno stile grafico abbastanza tipico di un determinato paese” [1].
Eric Singer [2] nota che le modalità di scrittura variano nel luogo e nel tempo e che sono inoltre indicative dello spirito dell’epoca: troviamo un modello calligrafico diverso in almost every country according to national characteristics and traditions, and it differs in the same country at different times, according to the different spirit of the times (Zeitgeist). L’origine del modo di scrivere ha certamente una causa pedagogica, ovvero si scrive come ci viene insegnato, ma a sua volta il modello adottato è espressione di un dato paese. Dimostrabile o no con facilità, Singer ne dà anche una esemplificazione suggestiva: la scrittura che privilegia la zona media è tipica delle popolazioni occidentali le cui ambizioni nazionali sono state soddisfatte… e, senza tradurre: whereas the handwriting of restless nations like the Germans shows, even in their copybook writing, an exaggeration of upper and underlenghts.
Al di fuori dalla disciplina grafologica, in tempi in cui questa ancora non esisteva come sapere organizzato (la comparsa del termine grafologia si riconduce a Michon nel 1875) troviamo interessanti considerazioni sul legame tra scrittura e cultura: quelle riportate in “Analogia fra lo stato della scrittura e lo stato dei monumenti”, contenuto negli Annali universali di viaggi, geografia, storia, economia pubblica e statistica del 1832 [3]. Qui si riporta il pensiero di tale Alberto Vitet, il quale notava l’analogia fra il modo di scrivere usato nelle varie epoche del medio evo e le opere monumentali:
Tutto (egli dice) è sì omogeneo e sì conseguente nel medio evo, che ciascun secolo ha non solo la sua architettura peculiare e le sue arti, ma ben anche il suo proprio genere di scrittura; e ciò che vi ha di più singolare quest’è, che la scrittura di ciascun secolo riproduce e riflette per così dire i caratteri generali dell’architettura e delle arti delle quali è contemporanea. Esiste un mirabile accordo fra i monumenti architettonici e i dcoumenti in pergamena, fra il lavoro dell’architetto, dello scultore, del cesellatore e quello del calligrafo. Dopo il secolo quinto, per esempio, sino a Carlo Magno, la scrittura è quasi intieramente composta di lettere dette capitali, del genere cioè delle lettere majuscole, che veggonsi su i frontespizj de’ nostri libri stampati, ed ha contorni di stile gastigato: le lettere più piccole conservano esse pure gli stessi caratteri, e si può dire che vi ha nell’aspetto generale di questa scrittura n non so che di fisionomia co’ monumenti romani. Sotto il regno di Carlo Magno, sino all’undicesimo secolo, l’architettura si fa alterata e si sforma sullo stile orientale: anche la scrittura, durante questo periodo, si modifica: le lettere majuscole a forme riquadre e monumentali che s’usavano dapprima, scompajono per prendere un carattere più capriccioso: la scrittura s’allunga e prende un non so che di svelto simile agli archi acuti che allora s’usavano. Nel secondo XII la scrittura, come i monumenti, prende il fare dell’architettura germanica, impropriamente detta gottica: le lettere si fanno sopraccariche d’ornati e fioriture, ed a misura che il secolo s’accosta al suo termine, le fioriture s’accrescono e dinvetano a poco a poco leggermente acute ed angolari. Nel secolo XIII l’architettura germanica si diffonde ognor più, e prende un fare più decisivo: anche la scrittura si acumina, si arabesca, nè v’ha un tratto di penna che non finisca a linea aguzza. Nel secolo XV l’architettura gottica incomincia a cedere ad un gusto meno sregolato, ed anche i libri che allora si stamparono ebbero de’ caratteri più regolari. Nel XVI e XVII secolo, in Francia massimamente, l’architettura si fa per così dire smaniosa di novazioni d’ogni genere, ed anche la scrittura si rende per così dire indecifrabile: finalmente al tempo di Luigi XIV l’architettura prende un carattere più maestoso, e lo stesso fa anche la scrittura: tutti si delettano di bello e ornato scrivere e l’arte calligrafica risorge dall’abisso capriccioso in cui erasi avvolta.
Pagine interessanti per la storia della grafologia, custodite nella Biblioteca nazionale Braidense – Milano ed accessibili grazie ad Internet Culturale
[1] Boille, N. (1998). Il gesto grafico, gesto creativo. Roma: Borla.
[2] Singer, E. (1987). A manual of graphology. London: Treasure Press.
[3] Annali universali di statistica economia pubblica, storia, viaggi e commercio (1832:gen., 1, fasc. 91, serie 1, vol. 31)